Terapie non farmacologiche - amabiella.it

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LA STIMOLAZIONE COGNITIVA                             LA PLASTICITÁ CEREBRALE
      Poster al Congresso Di Geriatria                                                                                                      PISA: Ricerca statistica sulle
          Firenze Aprile 2014                                                                                                                       
terapie non farmacologiche

Possono essere definite anche come "RIABILITAZIONE NEUROPSICOLOGICA"
Alla base di questi interventi c’è il concetto di Plasticità Neurale.  Gli studi effettuati negli ultimi due decenni hanno evidenziato che il cervello è dotato di un notevole grado di plasticità, una tendenza al cambiamento e alla riorganizzazione.
Tali caratteristiche giustificano lo sviluppo e l’utilizzo clinico di tecniche di riabilitazione volte a migliorare la qualità della vita del paziente attraverso lo sviluppo di abilità in grado di fronteggiare la perdita di alcune funzioni cognitive  che caratterizza la malattia di Alzheimer.  

La riabilitazione neuropsicologica, come del resto altri tipi di intervento, è tanto più efficace quanto più tempestiva è la diagnosi e l’inizio del trattamento. I migliori risultati si ottengono infatti in pazienti con malattia di Alzheimer di grado lieve-moderato.
Nel passato, la possibilità di riabilitare le funzioni cognitive nel malato di Alzheimer è stata considerata in modo pessimistico a causa della caratteristica progressività della malattia e della compromissione delle capacità di apprendimento. Oggi tuttavia le evidenze sperimentali ci dicono che il declino cognitivo non è un fenomeno "tutto-nulla", bensì un processo graduale che lascia spazio all'approccio riabilitativo.
Le terapie non farmacologiche negli ultimi anni sono state oggetto di studi clinici randomizzati, allo stesso modo delle terapie farmacologiche ed hanno dato risultati positivi nel rallentare il declino cognitivo, nonostante la difficoltà di valutazione statistica connessa con questo tipo di interventi.
Nel Regno Unito sono già riconosciute come best practice nelle linee guida ufficiali.

In termini generali si tratta di un insieme di tecniche che mirano alla stimolazione delle funzioni cognitive residue e allo sviluppo di strategie di compensazione di funzioni perdute.
Questo approccio coinvolge più figure professionali ed è finalizzato sempre a migliorare la qualità di vita dei malati. Il risultato realisticamente atteso consiste nel rallentamento della progressione della malattia, ottenuto potenziando le risorse residue piuttosto che il ripristino delle capacità perdute e, in via secondaria, il miglioramento delle prestazioni cognitive, il tono dell'umore,  il comportamento e la conservazione della maggiore autonomia possibile. Un altro risultato importante è la prevenzione dei disturbi del comportamento caratteristici della malattia di Alzheimer, che sono la maggior fonte di stress nei caregivers.
I risultati positivi si ottengono attraverso livelli di stimolazione equilibrati, in quanto una scarsa stimolazione, come una eccessiva, provocano entrambe uno scompenso emotivo al malato. Nel decorso della demenza le sollecitazioni devono essere rapportate sempre al grado di abilità residue del malato.

I sintomi oggetto di specifici interventi riabilitativi sono molteplici e riguardano i deficit cognitivi (memoria, linguaggio, attenzione ecc.), i deficit sensoriali, i sintomi depressivi, le alterazioni del ciclo sonno-veglia, le turbe dell'alimentazione, i deficit motori e la disabilità nelle attività della vita quotidiana.
Di seguito, una sintesi dei principali interventi:

-   Riabilitazione cognitiva:
Per molti si identifica con il "recupero e rieducazione funzionale", ma questa è una definizione limitata. Una descrizione più corretta di che cosa significhi riabilitazione risale agli anni 90:
massimizzare la capacità di mantenere ruolo e autonomia nel proprio ambiente con i limiti imposti dalla patologia e dalle risorse disponibili;
aiutare la persona ad adattarsi al meglio alle differenze fra capacità residue e desiderate.
Occorre seguire un approccio di "riattivazione globale", motivato dalle caratteristiche stesse della malattia:
la demenza è una malattia che tende ad interessare vaste aree del cervello, ma non tutte le funzioni o le aree cerebrali sono compromesse nello stesso modo;
la demenza è una malattia che muta costantemente non solo da paziente a paziente, ma soprattutto nel tempo e questo rende necessario adattare obiettivi e metodi della riabilitazione in funzione non solo dello stadio clinico, ma anche della storia della persona;
è una malattia "sociale", in cui si ammala un intero nucleo famigliare più che una singola persona, e in cui il ruolo di sostegno di chi cura è importante quasi quanto quello del malato.
In passato l’applicazione meccanica degli aspetti allenanti e la definizione di obiettivi insieme troppo specifici e troppo ambiziosi, ha dato spesso risultati negativi e provocato frustrazione fra gli operatori.
Alcuni interventi sono focalizzati sui deficit di memoria, mentre altri affrontano anche le implicazioni affettive dei deficit cognitivi del malato, in quanto lo stato emotivo ha un impatto rilevante sulla memoria, sulle funzioni cognitive e sulla qualità di vita. Queste tecniche possono essere applicate sia individualmente sia in gruppi di pazienti.

-  Terapia di Riorientamento nella Realtà (ROT), ideata da Folsom (Topeka, Kansas) nel 1958 è finalizzata, tramite ripetitive stimolazioni verbali, visive, scritte e musicali, a ri-orientare il paziente rispetto a sé, alla propria storia e all'ambiente circostante, con l'obiettivo di migliorarne il livello di autostima, facendolo sentire ancora partecipe di relazioni sociali significative e riducendone la tendenza all’isolamento.

-   Memory training: tecniche di stimolazione più specifiche e più mirate rispetto alla ROT, finalizzate a stimolare l'apprendimento procedurale motorio, sensoriale e cognitivo, migliorando i tempi di esecuzione di alcune attività della vita quotidiana.  

- Tecniche di spaced-retrieval: interventi efficaci nell' identificazione di oggetti, nelle associazioni e nella programmazione di attività quotidiane (memoria prospettica).

-  Terapia di Reminiscenza: o Life Review, nella quale gli eventi remoti rappresentano lo spunto per stimolare le risorse mnesiche residue e per recuperare esperienze emotivamente piacevoli. In passato la reminiscenza era considerata patologica per le sue valenze negative, oggi è vista invece come strumento per risolvere conflitti del passato, mantenere un ruolo sociale e favorire l'autostima.

- Terapia di validazione, Validation therapy, proposta da Naomi Feil nel 1967, adotta un approccio «umanistico»: il modo in cui il soggetto vede ed interpreta la realtà circostante è più importante della realtà oggettiva. Non consiste nel ricondurre il paziente nella realtà attuale bensì di immedesimarsi nel suo «mondo» per capirne comportamenti, sentimenti ed emozioni.

-  Terapia di rimotivazione (Janssen e Giberson, 1988): è una tecnica il cui scopo consiste nel limitare e contrastare la tendenza all'isolamento del paziente demente e depresso attraverso la rivitalizzazione degli interessi per gli stimoli esterni.

- Tecniche di rilassamento: in particolare la respirazione profonda ed il rilassamento muscolare progressivo sono utili nel controllo di sintomi quali l'insonnia, le fobie e la depressione.

-  Arte-terapia: L’Arte terapia è in grado di stimolare l'immaginazione di una persona permettendole di esprimere sentimenti che sono difficili da articolare. E’ importante mantenere il progetto a livello adulto, essere pronti ad aiutare, se necessario, e assicurarsi che tutti i materiali usati siano sicuri e non tossici.

-  Musicoterapia: la musica, la cui comprensione è conservata anche nelle fasi più avanzate della malattia di Alzheimer, è impiegata con finalità di rilassamento e stimolazione «cognitiva», usando strumenti per la produzione di ritmi e suoni o l'ascolto di brani familiari all'esperienza dei malati.

-  Esercizio fisico: rappresenta un valido approccio per conservare le abilità motorie e migliorare il ciclo sonno-veglia e si basa sull’osservazione che i soggetti anziani fisicamente attivi ed in buona forma fisica hanno prestazioni cognitive e psicomotorie migliori rispetto ai loro coetanei sedentari; in effetti molti studi indicano che una singola seduta di esercizio così come un programma di allenamento fisico inducono un miglioramento delle funzioni cognitive, in particolare di quelle che diminuiscono con l’età.

COME SI ADATTANO GLI INTERVENTI:

                                                                
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